Il testo integrale dell’omelia pronunciata dall’Arcivescovo nella Santa Messa Crismale 2022
Cattedrale di Cosenza, 13 aprile 2022
Eccellenza Reverendissima, carissimo fratello Mons. Salvatore Nunnari, grazie per averci fatto dono della tua presenza nonostante la salute precaria; siamo veramente felici della tua partecipazione alla Messa crismale, segno dell’affetto e dell’appartenenza al nostro Presbiterio. Un saluto cordiale a Mons. Augusto Lauro che vive spiritualmente con noi questi giorni Santi. Un saluto a tutti i sacerdoti ammalati, anziani o impediti a partecipare. Un abbraccio fraterno a tutti voi presenti, sacerdoti diocesani e religiosi, consacrati, diaconi, seminaristi, ministri istituiti e straordinari, catechisti e coristi, operatori pastorali, fedeli tutti presenti in questa splendida cattedrale o collegati in diretta dai luoghi di sofferenza e di prova. Ecco la nostra bella e ricca comunità diocesana, amata da Dio e colma di doni dello Spirito. Permettetemi anche un saluto fraterno a tutti coloro che, per motivi diversi, non esercitano più il sacerdozio ministeriale. E infine un caro e orante ricordo per i nostri confratelli deceduti in questo anno: Don Filippo Aloisio, Mons. Salvatore Bartucci, Padre Umberto Romano (pocr), Don Pierluigi Mauro, Don Ariel Saavedra Yriarte.
Per ben tre volte la Parola di Dio di oggi riporta la profezia di Isaia che in Gesù finalmente si avvera: «Lo Spirito del Signore è su di me, mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio». La Chiesa ha voluto che queste parole profetiche fossero ripetute ogni anno, nella Messa Crismale, a ricordarci che noi sacerdoti siamo sotto l’ombra dello Spirito, che ci ha consacrati e mandati a portare l’annuncio del Vangelo e l’anno di grazia del Signore. E’ un messaggio attuale per noi, soprattutto nell’anno in cui viviamo il Giubileo diocesano per gli 800 anni della consacrazione della nostra Cattedrale.
E’ lo Spirito che ci rende credibili, perché fa coincidere nella nostra vita il messaggio con il Messaggero! E’ lo Spirito che con la consacrazione ci ha donato il compito di amare e di essere trasparenza di Dio!
Ciascun compito però si manifesta in tanti ruoli, per cui è necessario che il ruolo sia finalizzato al compito e non viceversa.
Il ruolo ricorda il rotulus, un involgimento dinamico, che fa apparire, e spesso ci rende personaggi e non persone…. Il Compito, invece, ricorda un compimento, in divenire, per completare l’opera che Dio ha iniziato in noi.
Il nostro compito, dunque, è quello di amare, non di avere molti ruoli. Dedicarsi al compito è la vocazione principale del Presbitero, ma anche la più difficile da esercitare perché presuppone silenzio, umiltà, preghiera, lontananza dal palco e dal palcoscenico: è amare con il cuore di Dio! Il compito nella vita del Presbitero e del Cristiano non finisce mai, come l’Amore: vivere i sentimenti di Cristo, amare come Lui mi ama, non è cosa che finisce. Il ruolo finisce, il compito mai!
Il ruolo ci impegna di meno, perché può finire, può cambiare, può gratificarci con l’apparenza e con gli applausi, ma ci porta forse ad essere un po’ ipocriti.
Purtroppo si può svolgere il proprio ruolo benissimo anche senza fede; si può finanche esercitare la carità e celebrare i sacramenti senza crederci, riducendone la pratica a ruoli da adempiere e svuotandoli del loro vero significato; allora forse messaggio e messaggero non coincidono più. Possiamo infrangere finanche la nostra fraternità sacerdotale, quando per apparire si concedono permessi che altri non hanno dato in nome magari di una falsa misericordia! Svolgere un ruolo senza fede e senza amore è tirare Dio alla nostra misura, portare avanti il nostro compito invece, è adeguare noi stessi alla misura di Dio!
Ecco allora, alcune domande scontate e difficili che potremmo rivolgere a noi stessi in questa giornata: “nella mia vita prevale il ruolo o il compito? I ruoli che rivesto sono finalizzati al compito affidatomi dallo Spirito? Ognuno di noi è attratto da ciò che gli piace: noi da chi siamo attratti?”.
Dalla risposta possiamo capire dove ci porta il nostro cuore. Il segnale che ad attirarci è il fascino della vocazione ricevuta è la felicità che proviamo nell’essere preti. “Sono ancora contento di esserlo? O mi manca qualcosa? A volte anche noi proviamo l’amarezza dalla crisi, dello scoraggiamento, della solitudine, della mancanza di affetto e di comprensione; cosa facciamo per risollevarci? Ci chiudiamo in noi stessi a piangere le nostre ferite o andiamo dal “medico” per curarci? Ci sediamo o siamo ancora alla ricerca di Lui?”.
Dio ama essere desiderato, cercato, desidera la nostra ricerca di Lui. E noi percepiamo il suo amore quando, come Lui, siamo mendicanti di amore, di amicizia, di fraternità…
Gesù, prima di dire a Pietro «pasci le mie pecore» affidandogli così un “ruolo”, gli chiese se lo amasse, perché quello era il suo “compito” di discepolo. Pietro non riusciva ancora a raggiungere la misura alta dell’amore divino e si accontò di rispondergli: «sì, Signore, tu sai che ti voglio bene», quasi costringendo Gesù ad abbassare l’asticella dell’amore, accontentandosi di un desiderio di amicizia sincero e leale.
Non preoccupiamoci, allora, se qualche volta ci sentiamo falliti, delusi, inutili, oppure onnipotenti e autosufficienti, perché questo apparitene al ruolo che svolgiamo. Chiediamoci invece se il nostro cuore è ancora capace di amare! Invece di sentirci orgogliosi e sodisfatti di quanto abbiamo fatto, chiediamoci quanto amore abbiamo dato o lasciato alle comunità che serviamo o abbiamo servito.Siamo convinti che nella nostra vita essere amati da Lui è il fondamento e amare Lui è il compimento? Amava ripetere Adriana Zarri: «Quando nessuno mi ama, amami tu Signore!».
Al termine di questa riflessione, vorrei insieme a voi ringraziare il Signore perché ancora ha riposto la sua fiducia in noi: quest’anno ci ha fatto e ci fa dono di tre nuovi Sacerdoti, due nuovi diaconi e due Seminaristi del propedeutico. Mentre cinque presbiteri defunti saranno per sempre la nostra fiaccola di fede davanti all’Eterno!
Se pensiamo alle esequie di don Ariel, celebrate proprio in questa cattedrale alcuni giorni fa, e alla presenza numerosa dei presbiteri della Diocesi, attorno alla sua mamma e al fratello, insieme ai rappresentanti delle comunità catecumenali, possiamo affermare con orgoglio e gratitudine che Egli dimora nel Paradiso di Dio, dove le sue lacrime, illuminate dalla luce del Risorto, sono diventate tesoro prezioso a cui attingere per la nostra vita presbiterale. Don Ariel aveva compreso il compito, eliminando quasi del tutto il ruolo, purificato dalla sofferenza e dal sorriso felice che gli veniva dal suo essere Prete!
Vi lascio con le parole profonde di Enrico Medi, che vorrei consegnare alla vostra meditazione con i più sinceri auguri di una buona e santa Pasqua.
“Sacerdoti, siete grandi, siate santi;
Se voi siete santi, noi saremo salvi,
se non lo siete, noi siamo perduti!
(Servo di Dio Enrico Medi)
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