Oggi, presso l’Aula Magna “Monsignor Vittorio Luigi Mondello” del Seminario arcivescovile di Reggio Calabria, relatori, vescovi e arcivescovi della Regione ecclesiastica calabrese, giudici, operatori giudiziari e uditori si sono ritrovati alle 16 per la tradizionale inaugurazione dell’Anno giudiziario del Tribunale ecclesiastico interdiocesano calabro (Teic) e del Tribunale ecclesiastico interdiocesano calabro di Appello (Teica).
I lavori sono stati aperti dai saluti dell’arcivescovo di Reggio Calabria – Bova, monsignor Fortunato Morrone, presidente della Conferenza episcopale calabra e Moderatore del Tribunale ecclesiastico interdiocesano calabro (Teic), e dell’arcivescovo di Catanzaro Squillace, monsignor Claudio Maniago, Moderatore del Tribunale ecclesiastico interdiocesano calabro d’Appello (Teica).
A seguire si è tenuta la relazione del Vicario giudiziale del Teic, monsignor Vincenzo Varone; monsignor Erasmo Napolitano, vicario giudiziale del Teica, era assente per motivi di salute. Alla fine di questo articolo è disponibile il video integrale della cerimonia di inaugurazione.
La relazione del vicario giudiziale del Teic, monsignor Varone
Nel 2022, ha comunicato Varone nella sua relazione (scarica il documento integrale), «sono state esaminate 272 cause di cui 109 sono state introdotte nel 2022. Ad oggi, sono rimaste pendenti 135 cause, 28 in meno rispetto a quelle dell’anno precedenti. Rispetto alle tempistiche, le cause decise nel 2022 solo quattro casi risalgono a più di 4 anni fa (2013-2018). Gran parte delle altre sono state introdotte nel 2021 (72), mentre 17 sono state concluse in neanche un anno solare».
Rispetto ai responsi per le cause di nullità del matrimonio sono stati al 97% affermative, mentre solo in 5 casi si è registrata una sentenza negativa. Rispetto all’analisi per i capi di nullità del quinquennio 2018-2022, in 88 casi si è arrivati a giudizio per «grave difetto di discrezione di giudizio», un capo di nullità in crescita costante negli ultimi anni. Tra i casi più ricorrenti, poi, si evidenziano: «esclusione della prole» (20), «esclusione dell’indissolubilità del vincolo» (14), «errore su qualità della persona» (12).
Rispetto all’esito dei casi sopraelencati, rispetto al «grave difetto di discrezione di giudizio» 87 casi sono stati decisi pro nullitate, mentre solo 1 pro validità. Per l’«esclusione della prole»: 17 pro nullitate e 3 pro validità; per l’«esclusione dell’indissolubilità del vincolo»: 12 accolti e 2 respinti; infine, rispetto ai casi per «errore su qualità della persona» in 10 casi le sentenze sono state pro nullitate e 2 pro validità. Per quanto concerne gli indici di performance, il vicario giudiziale ha chiarito che il tempo di giacenza media della causa ammonta a 635 giorni; la media delle cause lavorate per addetto è di 20 cause; il lead time di soli 3 giorni. «Ricordiamo che al Teic – ha concluso Varone – confluiscono le cause delle diocesi di Cassano allo Ionio, Catanzaro-Squillace, Lamezia Terme, Locri-Gerace, MiletoNicotera-Tropea, Oppido Mamertina-Palmi, RossanoCariati, San Marco Argentano, Crotone – Santa Severina, Lungro e Reggio Calabria – Bova. Restano alla scala geografica, le cause introdotte nel 2022 arrivano principalmente da Reggio – Bova (25), Catanzaro-Squillace (20), Oppido – Palmi (14) e Lamezia Terme (10)».
La prolusione del vicepresidente Cei, monsignor Francesco Savino
La prolusione dal titolo “Il Tribunale ecclesiastico interdiocesano e il ruolo del vescovo diocesano” (scarica il documento integrale) è stata tenuta da monsignor Francesco Savino, vicepresidente della Conferenza episcopale italiana (Cei) e vescovo di Cassano allo Jonio.
«Per presentare il ministero del Vescovo diocesano e il ruolo che egli è chiamato a svolgere relativamente al Tribunale Ecclesiastico Interdiocesano, desidero iniziare riprendendo alcuni passaggi dell’Esortazione apostolica post-sinodale Pastores gregis – ha detto Savino ai presenti – in cui si sente l’eco della nota espressione di Sant’Agostino: “Per voi sono vescovo, con voi sono cristiano”. La “circolarità” richiamata da tale espressione, infatti, è il fondamento della “solidarietà” del Vescovo con tutti gli altri fedeli, verso i quali è chiamato ad esercitare anche il ministero della “giustizia”. Alla luce di tale “circolarità” sono da leggersi le norme canoniche che, attingendo alla riflessione conciliare, in particolare alla Costituzione dogmatica Lumen gentium (cfr. nn. 27; 32-33), riguardano la potestà del Vescovo diocesano e il relativo esercizio di essa. Il riferimento, in particolare, è ai can. 381, § 1 e 391. Il can. 381, §1, richiama il principio teologico secondo cui compete al Vescovo diocesano nella diocesi affidatagli tutta la potestà ordinaria, propria e immediata che è richiesta per l’esercizio del suo ufficio pastorale. Mentre il can. 391, di conseguenza, stabilisce che spetta al Vescovo diocesano governare la Chiesa particolare a lui affidata con potestà legislativa, esecutiva e giudiziaria, a norma del diritto».
«La riforma di Papa Francesco – ha proseguito il vescovo Savino – concretizza il Concilio Vaticano II ed appare in piena continuità con la tradizione ecclesiale quando enfatizza la centralità del Vescovo nell’amministrazione della giustizia, sia come supervisore dell’attività del proprio Tribunale, sia come giudice, in vista di una maggiore prossimità ai fedeli. D’altra parte, anche l’abrogazione della necessità della doppia sentenza conforme, ritornando ad una tradizione ben più antica delle disposizioni di Papa Lambertini, restituisce dignità all’operato dei Tribunali di primo grado, manifestando fiducia nel loro operato, poiché essi sono l’emanazione della stessa potestà giudiziale dei Vescovi». Le modalità di esercizio della potestà giudiziale, nella storia – prosegue Savino – «hanno sempre avuto una fisionomia eminentemente pastorale: il Vescovo interviene per ricomporre le controversie, correggere gli abusi, accertare la verità, avendo come fine il bene della comunità e dei singoli fedeli. Tale connotazione “pastorale” fa sì che vi sia una certa variabilità, o flessibilità, nelle forme concrete di esercizio di questa funzione e anche, com’è stato nei primi secoli, una certa flessibilità nell’uso della procedura».
L’esistenza del Teic, secondo il presule bitontino, «potrebbe evidenziare la capacità di Diocesi tra loro vicine, di vivere una certa “sinodalità” nell’amministrazione della giustizia, ma potrebbe comunque non evidenziare nel modo voluto da Papa Francesco quella “prossimità personale” del Vescovo nei confronti dei propri fedeli». Tale “prossimità”, prosegue Savino «si verrebbe a realizzare unicamente quando ogni Vescovo diocesano avesse “piena armonia e comunione” non solo con il Vicario Giudiziale del Tei di riferimento, ma anche con i Giudici che risiedono nella propria Diocesi: eseguire l’istruttoria della causa nella Diocesi di appartenenza delle parti, infatti, garantirebbe concretamente la “prossimità” voluta da Papa Francesco e potrebbe essere, inoltre, la “modalità concreta” attraverso cui il Vescovo “vigila” sull’amministrazione della giustizia nei confronti dei fedeli affidati alle sue cure pastorali. La riforma intesa da Papa Francesco – ha concluso monsignor Savino – è un richiamo fatto a noi Vescovi perché non lasciamo tutto nelle mani del Vicario Giudiziale e dei Giudici: con loro e attraverso di loro siamo noi i “Pastori della Giustizia”».
Nel corso dell’inaugurazione dell’Anno giudiziario, infine, si è tenuto il solenne e pubblico giuramento di fedeltà dei giudici e degli operatori dei due Tribunali ecclesiastici interdiocesani.