“Il Signore ti chiama come sei. Quindi chiama tutti, chiama personalmente e ci chiama con le nostre fragilità, con le nostre contraddizioni ma ci chiama per fare qualcosa. Ed è questa la grande scoperta dei ragazzi”. Ai media Cei, il card. Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, traccia un primo bilancio della Gmg, in attesa di partecipare questa sera alla veglia, culmine dell’esperienza che i giovani stanno facendo a Lisbona. “I giovani – aggiunge l’arcivescovo – sentono tante parole su di loro e fanno fatica a distinguere, come tutti, i seduttori dagli educatori, il vero dal falso. Credo che questo grande incontro con il Signore che coinvolge i più giovani in questa straordinaria avventura che è la Chiesa, conduca a guardare il mondo con gli occhi di Gesù. Un mondo da curare, da salvare anche con la nostra attenzione a partire dai più poveri e di farlo come siamo, deboli e fragili come siamo”. “Non è trovando tutte le risposte ma trovando la risposta”, prosegue Zuppi. “Ieri in uno dei passaggi della via crucis, si diceva, ‘non pensavo di avere un problema ma di essere io il problema’. Credo che al contrario, questa fiducia del Signore, sia importante. Ci coinvolge nel vivere il Vangelo, in un Vangelo che rende piena la nostra vita, che non toglie nulla ma riempie”.
Cosa si porta dietro da questa esperienza vissuta con i giovani a Lisbona?
L’immagine di una Chiesa gioiosa, presente, che cammina insieme, in un mondo così pieno di divisioni, così virtuale, così ingannevole.
Credo che questa immagine sia già una grande risposta, anche a tante paure e tante incertezze. Qualche volta cediamo a credere più nelle nostre forze che nella forza dello Spirito. Lo Spirito qui ci ha largamente contraddetto e ha riacceso tanta speranza e tanti legami. Non significa disconoscere i problemi ma avere la serena consapevolezza di tanta forza, di tanta speranza e tanta fiducia che i giovani vogliono e meritano.
65mila giovani italiani a Lisbona. Sono tanti…
Sì, e con un viaggio complicato che ha richiesto anche tanti sforzi. So di ragazzi che si sono impegnati anche a raccogliere i soldi per poter venire. Una bella presenza, in una presenza larga. Anche questa dimensione mondiale allarga il cuore e fa vedere che la “Fratelli Tutti” non è un sogno lontano ma una costruzione che è già presente e verso cui dobbiamo affrettarci, come dice il tema della giornata, continuando ad andare incontro agli altri”.
Il Papa ieri in una intervista, riferendosi alla guerra in Ucraina, ha parlato di una “offensiva di pace”. Cosa significa?
Non abituarsi alla guerra, stare male. Perché, quando si ascoltano le notizie di morte, di violenza, di scontri, dobbiamo sempre pensare che ci sono persone che muoiono. Ce lo mostra concretamente Papa Francesco, con il suo non darsi pace, con il suo cercare continuamente le vie sia per consolare le sofferenze sia per aprire spazi per mettere fine al conflitto. Vedo che c’è tanta solidarietà. Sono qui presenti tre vescovi dell’Ucraina che hanno tanti legami con la Chiesa italiana e questa fraternità li conforta, dà speranza, e dà anche concretamente risposte, perché non c’è solo la sofferenza terribile della guerra, ma anche il dramma dei profughi, di quelli che hanno perso tutto, che vivono in una situazione di totale incertezza. C’è quindi lo sforzo di non far mancare la vicinanza e la solidarietà concreta. E poi, continuare a pregare e trovare tutti i modi per porre fine al conflitto.
Ma c’è spazio alla speranza di pace?
Non può non esserci la pace perché senza la pace c’è soltanto la fine, c’è la morte. Non si può vivere con la guerra, anche se gli uomini si abituano a tutto.
La guerra spegne la vita e la vita non riprende automaticamente con la fine della guerra. Certo che c’è spazio per la pace ma bisogna cercarla in tutti i modi e ognuno deve fare la sua parte perché questa pace venga presto.
Maria Chiara Biagioni – Agensir