Sarà il segretario di Stato vaticano, il cardinale Pietro Parolin, ad avviare i lavori della delegazione della Santa Sede alla Cop28, la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici che si svolge a Dubai. L’arrivo è previsto per oggi, primo dicembre, giorno in cui sarebbe dovuto giungere negli Emirati Arabi Uniti il Papa. Francesco “con grande rammarico” ha dovuto rinunciare a questo viaggio per evitare peggioramenti dell’infiammazione polmonare che lo ha colpito in questi giorni.
Eminenza, il Papa non potrà prendere parte come avrebbe voluto alla Conferenza internazionale sul clima di Dubai. Quali sono le aspettative e le speranze di Francesco per la Cop28?
Nel cuore del Papa c’è la consapevolezza della necessità di agire per la cura della casa comune, l’urgenza di posizioni coraggiose e di uno slancio nuovo verso politiche locali ed internazionali affinché l’uomo non sia minacciato da interessi di parte, miopi o predatori. La Cop28 è chiamata a dare una chiara risposta da parte della comunità politica nell’affrontare con determinazione questa crisi climatica nei tempi urgenti che ci indica la scienza. Il Papa non è potuto andare a Dubai, ma la decisione di esserci, la prima volta di un Papa, emergeva chiaramente dalla Laudate Deum, in cui ricorda che sono passati ormai otto anni dalla pubblicazione della lettera enciclica Laudato si’ e in cui ha voluto condividere con tutti le sofferenze del pianeta e le “accorate preoccupazioni” per la cura della casa comune. Il Papa spiega che “con il passare del tempo … non reagiamo abbastanza, poiché il mondo che ci accoglie si sta sgretolando e forse si sta avvicinando a un punto di rottura”» (n. 2). Non solo gli studi scientifici mettono in evidenza i gravi impatti del cambiamento climatico prodotti dal comportamento antropico, ma è oramai cronaca quotidiana l’assistere a fenomeni naturali estremi che in tutto il mondo incidono fortemente sulla qualità della vita di gran parte della popolazione umana ed in particolare sulla componente più vulnerabile alla crisi climatica che è stata la meno responsabile nel provocare tale crisi.
Il Santo Padre ha più volte invocato la parola coraggio, chiedendo ai governi politiche per una ecologia integrale, per tutelare l’uomo e la casa comune. Quali sono le attese per la Cop28?
Anche qui, la Laudate Deum è molto chiara: «Se abbiamo fiducia nella capacità dell’essere umano di trascendere i suoi piccoli interessi e di pensare in grande, non possiamo rinunciare a sognare che la Cop28 porti a una decisa accelerazione della transizione energetica, con impegni efficaci che possano essere monitorati in modo permanente. Questa Conferenza può essere un punto di svolta, comprovando che tutto quanto si è fatto dal 1992 era serio e opportuno, altrimenti sarà una grande delusione e metterà a rischio quanto di buono si è potuto fin qui raggiungere» (n. 54).
L’auspicio è infatti che la Cop28 possa dare chiare indicazioni per favorire questa accelerazione. Una transizione energetica che si può declinare in vari modi, a partire dalla graduale e rapida riduzione dei combustibili fossili attraverso un maggiore impiego delle energie rinnovabili e dell’efficienza energetica, così come attraverso un maggiore impegno all’educazione per l’ecologia integrale.
È bene, infatti, ribadire ciò che il Santo Padre e la Santa Sede hanno spesso ripetuto: i mezzi economici e tecnici per contrastare la crisi climatica sono necessari ma non sono sufficienti; è indispensabile che essi siano accompagnati da un processo educativo che incida sul cambiamento degli stili di vita e dei mezzi di produzione e di consumo volti a promuovere un modello rinnovato di sviluppo umano integrale e di sostenibilità basato sulla cura, sulla fraternità, sulla cooperazione tra gli esseri umani e sul rafforzamento di quell’alleanza tra essere umano e ambiente che, come detto da Benedetto XVI nella Caritas in veritate «deve essere specchio dell’amore creatore di Dio, dal quale proveniamo e verso il quale siamo in cammino» (n. 50).
Il Papa ha ribadito che dopo la Conferenza di Parigi del 2015 di fatto c’è stato un declino, un disinteresse. Eminenza, lei ha seguito da vicino questi appuntamenti. Il mondo si rende conto dei pericoli?
La crisi climatica è molto complessa, ma è “un problema sociale globale che è intimamente legato alla dignità della vita umana” (Laudate Deum, n. 4). Essa è, inoltre, legata a comportamenti umani di aumento delle emissioni di gas serra che hanno conseguenze di lungo periodo: risalgono al periodo post-rivoluzione industriale della fine del settecento del secolo scorso, ma si sono fortemente accentuati nel tempo: come indicato dall’IPCC, l’organo scientifico dell’Onu che studia il cambiamento climatico, oltre il 42% delle emissioni nette totali dal 1850 è avvenuto dopo il 1990. Si tratta di archi temporali che vanno ben al di là dei brevi cicli elettorali ai quali devono rispondere i politici. Questo è sicuramente una prima problematica.
Inoltre, dal 2015 si sono susseguite una serie di crisi, basti pensare al Covid o alle persistenti problematiche umanitarie che pervadono la nostra società. I conflitti in Ucraina e nell’area israelo-palestinese sono solo due esempi eclatanti di come conflitti localizzati non solo hanno un inaccettabile e devastante impatto sulle popolazioni civili locali, ma hanno profonde ripercussioni economiche e sociali in tutto il mondo. Ecco una seconda problematica: queste crisi rischiano di distogliere l’attenzione della comunità internazionale verso la questione climatica.
Purtroppo, il cambiamento climatico va avanti e non attende che venga messa in pratica la “buona volontà” dell’essere umano. È necessario che la comunità internazionale non solo ne prenda atto ma si renda concretamente conto che, per contrastare la crisi climatica o si vince insieme o si perse insieme. Alla Cop26 di Glasgow, il Santo Padre inviò un Messaggio in cui indicava che “le ferite portate all’umanità […] dal fenomeno del cambiamento climatico sono paragonabili a quelle derivanti da un conflitto globale. Così come all’indomani della seconda guerra mondiale, è necessario che oggi l’intera comunità internazionale metta come priorità l’attuazione di azioni collegiali, solidali e lungimiranti”. Il vero nemico da combattere è il comportamento irresponsabile che ha ricadute su tutte le componenti della nostra umanità di oggi e di domani. La risposta deve essere rapida e coesa.
Sarebbe bello che la Cop28 contribuisse a mettere in pratica l’auspicio espresso da Papa Francesco nella Laudato si’: «Mentre l’umanità del periodo post-industriale sarà forse ricordata come una delle più irresponsabili della storia, c’è da augurarsi che l’umanità degli inizi del XXI secolo possa essere ricordata per aver assunto con generosità le proprie gravi responsabilità» (n. 165). Vi è speranza in questo, poiché l’umanità possiede i mezzi e le capacità per poter assumere tali responsabilità.
La Cop28 si svolge negli Emirati Arabi Uniti, mentre è in corso il conflitto tra Israele e Hamas. Come la Santa Sede vede questa situazione?
L’attacco terroristico perpetrato il 7 ottobre scorso da Hamas e da altre organizzazioni palestinesi contro la popolazione in Israele ha causato una grave e profonda ferita negli israeliani e in tutti noi. La sicurezza di quella popolazione è stata messa gravemente a repentaglio in maniera così brutale e incredibilmente in così poco tempo. Lo ha detto il Santo Padre fin da subito: “Il terrorismo e gli estremismi non aiutano a raggiungere una soluzione al conflitto tra Israeliani e Palestinesi, ma alimentano l’odio, la violenza, la vendetta, e fanno solo soffrire gli uni e gli altri” (Udienza Generale, 11 ottobre 2023).
E infatti il processo di pace israelo-palestinese, che già soffriva rallentamenti e stasi, si è ora reso ancora più complesso. D’altronde forse era questo l’obiettivo dei terroristi visto che, come sempre hanno dichiarato, i miliziani di Hamas non hanno nel loro orizzonte nessuna pace con Israele, anzi – irresponsabilmente – ne vorrebbero la scomparsa. Ciò invece non corrisponde alla volontà che l’Autorità dello Stato di Palestina, in particolare il presidente Mahmoud Abbas, ci ha sempre assicurato, ovvero di volere un dialogo con lo Stato d’Israele per una piena realizzazione della soluzione dei “Due Stati”, promossa da tanti anni dalla Santa Sede insieme ad uno statuto speciale per la Città Santa di Gerusalemme. Per questo auspico che in un futuro si percorrano sincere vie di dialogo, anche se ora le vedo molto strette. Nei Giardini Vaticani c’è quell’olivo che fu piantato nel 2014 dal presidente israeliano Shimon Peres e dal presidente palestinese Mahmoud Abbas, insieme a Papa Francesco e al patriarca Bartolomeo. Noi continuiamo ad annaffiarlo con l’acqua della speranza, che sgorga dalla preghiera e anche dal lavoro diplomatico.
Comunque, in questi giorni abbiamo visto uno spiraglio di luce nei negoziati che hanno permesso una tregua e il rilascio di diversi ostaggi israeliani e di altre nazionalità. Purtroppo oggi abbiamo appreso che i combattimenti sono ripresi. La Santa Sede auspica che cessi il prima possibile ogni violenza. Credo che gli sforzi di dialogo messi in atto dall’Egitto e dal Qatar, insieme agli Stati Uniti d’America, sono davvero da lodare, insieme alla disponibilità del Governo israeliano di raggiungere il prima possibile una soluzione per tutti gli ostaggi. Davvero sono contento di aver visto quelle persone poter riabbracciare le loro famiglie. Prego e sono vicino anche per l’angoscia delle altre famiglie che ancora non riescono ad abbracciare i loro cari, ancora sequestrati a Gaza. Speriamo che presto tutti siano rilasciati.
Nel contempo la situazione umanitaria nella Striscia di Gaza è fonte di grandissima preoccupazione per la Santa Sede. Migliaia di vittime, si parla di oltre 15 mila, feriti, dispersi. Sembra che non vi sia nessun luogo sicuro, persino le scuole, gli ospedali e i luoghi di culto sono oggetto di usi impropri e di battaglia. Più di un milione di persone è senza casa, dovendosi spostare al sud di quel piccolo lembo di terra palestinese. Davvero commendevole è il ruolo dell’Egitto che sta provvedendo e coordinando l’arrivo degli aiuti umanitari, come pure quello della Giordania, del Qatar e degli Emirati Arabi Uniti che li stanno inviando e stanno cercando di soccorrere la popolazione palestinese. Non possiamo dimenticare e incoraggiare lo sforzo umanitario che le Agenzie delle Nazioni Unite stanno facendo a Gaza. Dunque, adesso è necessario che cessino definitivamente i combattimenti e che si trovino altre vie per poter far sì che Hamas e le altre organizzazioni palestinesi si disarmino, e non siano più una minaccia terroristica per gli israeliani, ma anche per i palestinesi stessi.
La Santa Sede continua a seguire da vicino anche la guerra tra Russia e Ucraina. Come prosegue il lavoro della diplomazia vaticana in questo contesto?
L’impegno della Santa Sede rimane inalterato e continua a riguardare soprattutto le questioni umanitarie, in particolare il rimpatrio dei minorenni ucraini. I vari scambi di informazioni tra la parte ucraina e quella russa, tramite le Nunziature Apostoliche presenti nei due Paesi, hanno reso possibili accertamenti su decine di bambini. Un esito incoraggiante, raggiunto anche grazie all’interessamento esplicito della Santa Sede, come lo ha indicato l’Ufficio del Commissario presidenziale per i Diritti del bambino della Federazione Russa, è stato il rimpatrio di Bogdan Yermokhin, avvenuto la sera prima di compiere 18 anni. Inoltre, il meccanismo avviato in seguito alla missione del cardinale Zuppi si sta perfezionando, promettendo risultati migliori. Speriamo che questo sforzo apra la strada al dialogo anche su altre questioni.
Eminenza, vale ancora la pena sperare in questo momento così complesso e lacerato da guerre, violenze e privazioni?
Di fronte alle tragedie che continuano ad affliggere l’umanità, ci sentiamo tutti un po’ perdenti e siamo tentati di cedere alla disperazione e al fatalismo. Con Papa Francesco, anch’io voglio ripetere “non lasciamoci rubare la speranza”, soprattutto quando il cammino della vita si scontra con problemi e ostacoli che sembrano insormontabili. Certo, sperare esige realismo. Esige che si chiamino i problemi per nome, nella consapevolezza che le tante crisi morali, sociali, ambientali, politiche ed economiche che stiamo vivendo sono interconnesse e quelli che guardiamo come singoli problemi sono in realtà uno la causa o la conseguenza dell’altro. Ma sperare chiede poi il coraggio di agire; l’audacia di gettare il cuore oltre l’ostacolo, di rinunciare al male e uscire dallo spazio angusto degli interessi personali o nazionali, di compiere ogni giorno quei piccoli passi possibili di bene per cercare di migliorare situazioni complicate e seminare la pace con pazienza e fiducia.
di Massimiliano Menichetti – Vatican News