Il Papa ai giovani dell’Anatolia: «Impegnatevi per un mondo più giusto e fraterno»

Sono giunti a Trebisonda, in Turchia, dalle diverse comunità del vicariato apostolico dell’Anatolia per partecipare al Campo estivo 2024 organizzato dal 10 al 15 agosto nella chiesa di Santa Maria, dove il 5 febbraio del 2006 è stato stato ucciso don Andrea Santoro. Una sessantina di giovani si sono ritrovati per vivere insieme momenti di riflessione, preghiera e appuntamenti culturali, guidati da monsignor Antuan Ilgit, vescovo ausiliare del vicariato, coadiuvato dai religiosi maristi e cappuccini e da 14 suore dell’Istituto del Verbo Incarnato. A loro ha voluto esprimere in una lettera, la sua vicinanza, il Papa, incoraggiandoli ad andare “sempre avanti con gioia e speranza” e a impegnarsi “a costruire un mondo più giusto, più fraterno e più bello”. “È sempre bello trovarsi insieme per pregare, per conoscersi e per condividere”, ha scritto il Pontefice. Un dono inaspettato per i giovani la missiva di Francesco, che monsignor Ilgit ha tradotto in turco per leggerla a tutti i partecipanti all’incontro.

I ragazzi hanno voluto ringraziare il Papa scrivendogli a loro volta, racconta ai media vaticani monsignor Ilgit, che presto provvederà a far recapitare il testo.

Qual è il bilancio delle giornate trascorse con i giovani?

Nel nostro Vicariato organizziamo due grandi incontri grandi, uno coincide con la festa della Conversione di San Paolo che celebriamo a Tarso, l’altro, invece, coincide con la festa dei Santi Pietro e Paolo, il 29 giugno, e lo organizziamo ad Antiochia, perché il Vicariato è molto grande, grande come l’Italia. I ragazzi non hanno opportunità di incontrarsi e così, organizzando questi due incontri, diamo loro la possibilità di vedersi, di scambiare delle idee, di fare anche delle amicizie. Quest’anno i ragazzi mi hanno chiesto di portarli fuori dalla zona terremotata e così abbiamo scelto il Mar Nero, l’altra sponda della Turchia, anche del Vicariato, e ci siamo spostati a Trebisonda, dove è stato assassinato don Andrea Santoro molti anni fa. L’incontro è iniziato il 10 agosto ed è durato cinque giorni. Hanno partecipato molti giovani autoctoni, cristiani del vicariato apostolico, ma anche molti rifugiati cristiani. Abbiamo riflettuto un po’ sulle parole di Maria nell’incontro con l’angelo Gabriele – “Avvenga di me quello che mi hai detto” -, con tanti momenti di silenzio, riflessioni, condivisioni, ma anche con giochi, hanno fatto anche teatro. Abbiamo visitato pure i luoghi significativi per la cristianità, adesso utilizzati come musei o trasformati in moschee.

In occasione di questo raduno avete ricevuto una lettera dal Papa…

Il Santo Padre, dopo il terremoto, si è interessato molto del Vicariato apostolico dell’Anatolia e ha voluto sempre essere informato sulla situazione, ma anche sulle nostre attività che riguardano la gioventù, i giovani. E così lo avevo avvertito di questo incontro e lui ha voluto scrivere due righe per incoraggiare i giovani. La lettera, che ho tradotto in turco e ho condiviso con i giovani, ha veramente animato tutto il campo.

Che cosa vi ha scritto il Papa?

Ha scritto di essere felice di sapere che i ragazzi si incontravano per pregare e per riflettere e li ha incoraggiati a guardare avanti con speranza, senza scoraggiarsi.

I giovani come hanno accolto queste parole?

I giovani hanno fatto dei momenti di riflessione sulla lettera, anche perché sapevano che sull’altra sponda del Mar Nero c’è l’Ucraina e che c’è un grande conflitto in corso e poi, anche nelle vicinanze delle loro case, c’è la Siria e inoltre c’è la questione Israele-Gaza. Abbiamo riflettuto sulla guerra, sulla pace, anche incoraggiati dalle parole del Santo Padre. Alla fine, in un modo sinodale, hanno gli hanno scritto una lettera che io, appena avrò la possibilità, gli manderò.

I giovani che cosa hanno scritto al Papa?

I giovani sono stati molto contenti di ricevere la lettera. Hanno espresso la loro gioia scrivendo di averla letta con grande gratitudine, che per loro è stato un grande onore e fonte di forza sperimentare la sua vicinanza spirituale e si sono affidati alle sue preghiere.

Ci può parlare della realtà giovanile nel vicariato apostolico dell’Anatolia?

Abbiamo tanti giovani provenienti da famiglie cristiane. La Turchia, poi, in questi ultimi anni ha ricevuto tanti rifugiati. Tra questi rifugiati molti sono cristiani provenienti dalla Siria, dall’Iraq, ma anche dall’Iran. Quindi il numero dei giovani cristiani rifugiati ormai ha superato il numero dei giovani autoctoni. Così noi ci sentiamo responsabili anche di una pastorale nei confronti di questi rifugiati e che vengono anche assegnati a città che non hanno comunità cristiane. Per tale motivo cerchiamo di organizzare questi incontri, in modo che i rifugiati possono spostarsi in luoghi in cui ci sono i loro coetanei, i cristiani locali. E la partecipazione di questi rifugiati arricchisce molto la vita dei nostri giovani, perché hanno modo di rendersi conto della realtà attuale, di come sta andando avanti il mondo con le sue difficoltà. Ma anche i rifugiati, incontrando i loro coetanei autoctoni, si sentono partecipi della Chiesa di cui fanno temporaneamente parte.

Quali speranze lei nutre per i giovani?

La speranza è che questi giovani rimangano in Turchia, che continuino a stare nella Chiesa e che contribuiscano all’andamento della Chiesa. Anche perché il futuro della Chiesa in Turchia sono proprio questi giovani. Non solo il futuro; il presente e il futuro della Chiesa di Turchia sono i giovani. Se vogliamo ricostruire gli edifici crollati, la cattedrale crollata dopo il terremoto, abbiamo bisogno proprio di queste pietre vive, dei giovani, della loro partecipazione, della loro fede, per poter ricostruire tutto e per poter portare avanti la Chiesa in questa terra santa della Turchia. Quindi, i giovani sono il nostro oggi e il nostro futuro e per questo ci impegniamo molto su di loro, cerchiamo di accompagnarli.

Lei sicuramente raccoglie anche i sogni di questi giovani, che cosa le confidano? Con quali occhi guardano al futuro?

I ragazzi sanno di essere in un Paese a maggioranza islamica, che fanno parte di una minoranza, ma non vogliono essere soltanto tollerati come minoranza, vogliono essere cittadini come gli altri. Per questo si impegnano per poter lavorare nella società e per la società. I loro sogni riguardano sempre gli studi universitari, poter avere una buona educazione, poter trovare dei lavori significativi, in modo da poter costruire, da cristiani, il futuro di questo Paese, nel quale vorrebbero rimanere e vorrebbero contribuire a tutti i livelli.

Dopo il terremoto del 2023, quale l’impegno della Chiesa?

In un primo momento ci siamo impegnati per l’emergenza, per poterla gestire senza fare nessuna distinzione. Abbiamo cercato di aiutare le comunità cristiane, ma anche i terremotati musulmani o appartenenti ad altre fedi. Adesso, in questa seconda fase, dopo la prima emergenza, cerchiamo di essere vicini con compassione e di accompagnare i processi. Quindi, per noi, è molto importante la formazione, l’educazione dei giovani, il sostegno ai cristiani nelle zone colpite che sono molto care alla cristianità, in modo speciale la città di Antiochia, la città di Iskenderun. Dopo il terremoto la gente ha dovuto lasciare il territorio, ma stiamo cercando di fare di tutto per la ricostruzione, in modo che i cristiani possano ritornare nelle loro case e continuare a vivere nei luoghi che sono a loro cari.

Le parole che il Papa ha rivolto ai giovani possono dare un ulteriore incoraggiamento per affrontare il domani?

Sì, sicuramente, perché qui siamo abbastanza lontani da Roma e non abbiamo sempre delle notizie della Chiesa cattolica a livello universale. Quindi, sapere di questa particolare attenzione del Santo Padre, che porta specialmente i giovani nei suoi pensieri e nelle sue preghiere, ci aiuta ad animare le comunità, ma soprattutto i giovani, che in questo modo non si sentono soli. Questo io l’ho sperimentato molto bene portando un gruppetto di giovani – una quarantina di giovani del Vicariato apostolico dell’Anatolia – a Lisbona. In questa esperienza, vedendo circa un milione e mezzo di giovani provenienti da tutto il mondo, si sono sentiti orgogliosi di essere cattolici, di essere cristiani, perché hanno incontrato per la prima volta l’universalità della Chiesa, l’hanno sperimentata. La vicinanza del Santo Padre fa lo stesso effetto, li rianima e li incoraggia.

di Tiziana Campisi – Fonte: Vatican News

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