Dopo anni di lavoro è entrato in vigore ieri, 9 gennaio, ad experimentum per tre anni, il documento “La formazione dei presbiteri nelle chiese in Italia. Orientamenti e norme per i seminari”. Il testo, che sostituisce la precedente normativa nel 2005, è stato approvato dalla 78.ma Assemblea Generale della Conferenza Episcopale Italiana che si è svolta ad Assisi nel novembre 2023 e ha ottenuto la conferma della Santa Sede con decreto del Dicastero per il Clero. Circa novanta le pagine in cui si affrontano diverse questioni come l’ingresso di persone omosessuali nei seminari, l’impegno contro gli abusi, “forme di collaborazione possibili” nella formazione dei futuri sacerdoti anche con figure femminili e psicologi professionisti, la vigilanza sull’uso dei social network, l’ammissione nei seminari di alunni, anche stranieri, usciti o dimessi da altri seminari o da case di formazione di vita consacrata.
Cinque capitoli, due parti
Cinque i capitoli del documento che tracciano un iter formativo al presbiterato articolato in due tempi: una prima fase dedicata alla costruzione della consistenza interiore, al rapporto educativo “forte” con i formatori, a una solida vita spirituale, all’applicazione allo studio e alla preghiera, alla conoscenza di sé. La seconda fase è incentrata, invece, su un maggiore coinvolgimento della comunità cristiana nella formazione dei candidati al sacerdozio.
Formazione permanente, missione, vocazioni adulte
Più nel dettaglio, nel primo capitolo si risponde alla domanda su quale prete si debba formare e per quale Chiesa. Quindi, da una parte, si assume la formazione permanente in alcuni suoi elementi ritenuti necessari al sacerdote di oggi; dall’altra, si accentuano decisamente le due dimensioni della missione e della comunione come orizzonte fondamentale della formazione. Nel secondo capitolo la pastorale vocazionale è presentata come impegno di tutta la comunità ecclesiale, si specificano però le modalità di accompagnamento vocazionale di ragazzi e giovani, basato su “una seria formazione spirituale”. Si conferma la validità del Seminario Minore, si propongono le comunità semiresidenziali come nuove modalità di accompagnamento e si parla delle vocazioni adulte. Per queste ultime viene richiesta “un’attenzione specifica”, oltre che “accompagnamento” e “proposte adeguate al loro cammino di verifica alla vocazione del ministero presbiterale.” Uno degli elementi fondamentali, si legge, è l’appartenenza ad una comunità ecclesiale che possa testimoniare “l’autenticità del cammino vocazionale” della persona. Nel caso di persone “non conosciute o sganciate da un tessuto ecclesiale”, è opportuno “verificare fin dall’inizio che sussistano i requisiti che permettano di riconoscere la persona come matura ed equilibrata”.
L’ingresso di persone omosessuali nei seminari
Nel terzo capitolo si presentano le quattro tappe dell’itinerario formativo proposto dalla Ratio fundamentalis: propedeutica (un anno), discepolare (due anni), configuratrice (quattro anni) e di sintesi vocazionale (un anno). Nella proposta educativa si segnala il rischio che “le tappe si appiattiscano rigidamente agli anni previsti dagli studi teologici e da altri automatismi”.
Un riferimento in questo capitolo viene fatto alle persone con tendenze omosessuali che si accostano ai seminari o che “scoprono” nel corso della formazione tale situazione. “In coerenza con il proprio Magistero, la Chiesa, pur rispettando profondamente le persone in questione, non può ammettere al Seminario e agli Ordini sacri coloro che praticano l’omosessualità, presentano tendenze omosessuali profondamente radicate o sostengono la cosiddetta cultura gay”, si legge nel documento. “Le suddette persone si trovano, infatti, in una situazione che ostacola gravemente un corretto relazionarsi con uomini e donne”.
La castità
Tuttavia, secondo la CEI, quando nel processo formativo si fa riferimento a tendenze omosessuali è “opportuno non ridurre il discernimento solo a tale aspetto, ma, così come per ogni candidato, coglierne il significato nel quadro globale della personalità del giovane, affinché, conoscendosi e integrando gli obiettivi propri della vocazione umana e presbiterale, giunga a un’armonia generale”. L’obiettivo della formazione nell’ambito affettivo-sessuale del candidato al sacerdozio è “la capacità di accogliere come dono, di scegliere liberamente e vivere responsabilmente la castità nel celibato”. “Non è un’indicazione meramente affettiva”, ma “la sintesi di un atteggiamento che esprime il contrario del possesso”, afferma il testo CEI. “La castità è la libertà dal possesso in tutti gli ambiti della vita”, recita un passaggio. E in un altro si legge: “Chi vive la passione per il Regno nel celibato dovrebbe diventare anche capace di motivare, nella rinuncia per esso, le frustrazioni, compresa la mancata gratificazione affettiva e sessuale”.
Indicazioni e sussidi per la lotta agli abusi
Nel quarto capitolo si parla della formazione nel Seminario maggiore che, si specifica, non si esaurisce nell’apprendimento di nuovi contenuti, né si limita a comportamenti morali o disciplinari, ma deve riguardare il campo delle motivazioni e delle convinzioni personali. Dunque, la formazione della coscienza. Due paragrafi riguardano il tema della protezione dei minori e delle persone vulnerabili: il documento sottolinea che i formatori potranno avvalersi, nei percorsi educativi, della pubblicazione La formazione iniziale in tempo di abusi, curata dal Servizio Nazionale per la tutela dei minori: un percorso di indagine, cura e accompagnamento che, insieme all’accoglienza e alla protezione delle vittime, propone itinerari e sussidi di formazione che coinvolgono l’intero Popolo di Dio affinché cresca il senso di corresponsabilità e attenzione verso minori e vulnerabili.
“Il tema degli abusi, infatti – afferma un passaggio del documento – non può essere affrontato solamente sul piano giuridico delegando la questione al giurista e concentrando tutta l’attenzione sulla verifica della responsabilità penale e l’eventuale sanzione. Ovvio che ciò non può mancare, ma l’attenzione va anzitutto a ciò che è avvenuto prima, alla causa, al contesto individuale e sociale, comunitario ed ecclesiale, alla formazione, iniziale e permanente, se si vuole che non avvenga più”. “Massima attenzione” viene richiesta verso coloro che chiedono l’ammissione al Seminario maggiore perché “non siano incorsi in alcun modo in delitti o situazioni problematiche in questo ambito”.
I giovani usciti o dimessi da seminari e istituti
Un tema, questo, che apre all’altra spinosa questione dei giovani usciti volontariamente o dimessi da un Seminario o da una casa di formazione degli Istituti di vita consacrata. Numerose e dettagliate le norme contenute nel documento. Oltre a colloqui e incontri previi per la conoscenza diretta del soggetto, le principali disposizioni richiedono: la domanda scritta e motivata del candidato con le ragioni che hanno determinato l’abbandono o la dimissione; l’obbligo per il Seminario che accoglie di acquisire tutti gli elementi per la valutazione e l’obbligo per i precedenti superiori di fornire tali informazioni; la comunicazione scritta e motivata dell’eventuale ammissione all’interessato, al rettore del Seminario di provenienza, al Vescovo o al superiore. L’invito generale è ad essere “molto prudenti nell’accettare un seminarista” dimesso da un altro Seminario o casa di formazione. Veto assoluto, invece, alle domande di “coloro che, dopo il diciottesimo anno di età, per una seconda volta siano stati dimessi o abbiano lasciato” il Seminario o altri istituti.
Nel caso di candidati stranieri accolti per tutto l’iter formativo con l’intenzione di incardinarli in una Diocesi italiana, si chiede di prevedere, prima dell’eventuale ingresso al Seminario, “un tempo di inserimento culturale ed ecclesiale”, e anche la “cura di verificarne attentamente la retta intenzione, le attitudini pastorali e l’adeguata conoscenza ed inserimento nel contesto italiano”.
Laici, donne, psicologi nella formazione
Il quinto capitolo, infine, illustra gli agenti della formazione. “Viene recepita – afferma il testo CEI – la richiesta emersa nel Cammino sinodale di allargare la condivisione dell’opera formativa dei seminaristi coinvolgendo la comunità ecclesiale e si invita a pensare creativamente le forme di collaborazione possibili con particolare riguardo alla figura femminile”. “Può essere opportuno – è ancora una istanza riportata nella normativa ad experimentum – che il presbitero responsabile della comunità propedeutica sia stabilmente affiancato da un gruppo di formatori e formatrici che lo accompagni e lo sostenga nel lavoro educativo”. Questo gruppo “può essere composto da uomini e donne, laici e consacrati, celibi e sposati”, i quali “in forza della loro esperienza e delle loro competenze, offrono, con regolarità e organicità, specifici contributi al cammino formativo”. Importante, secondo il documento, nell’accompagnamento dei giovani nella tappa propedeutica “la presenza di psicologi e psicoterapeuti” ai fini della “conoscenza di sé”. Queste figure, tuttavia, non possano far parte dell’équipe dei formatori “a salvaguardia” della loro professionalità.
Social media
Non manca, poi, in La formazione dei presbiteri nelle chiese in Italia un cenno alle nuove tecnologie, con particolare focus sui social media. Occorre vigilare sulle “evasioni proposte dalle ‘comunità virtuali’ che si formano attraverso i social media”, si legge nel primo capitolo. Mentre nel quarto, dal titolo Mondo digitale e social network, si evidenzia: “Come tutti, anche i seminaristi vivono immersi nell’ambiente digitale in cui virtuale e reale sono strettamente intrecciati. Questo richiede che siano accompagnati a maturare la capacità di abitare tale ambiente con consapevolezza e sapienza, riconoscendone le opportunità e i rischi”. “Anche la gestione dei siti internet o dei profili social del Seminario, così come i periodici a stampa, i mezzi di comunicazione di alcune attività rivolte soprattutto ai giovani, possono essere gestiti insieme da gruppi di seminaristi che vengono incaricati annualmente”, aggiunge il documento.