Francesco consegna ai membri del Sinodo un volume che esce oggi per la Libreria Editrice Vaticana e raccoglie due suoi interventi, un articolo del ’91 “Corruzione e peccato” ripubblicato nel 2005 quando era arcivescovo a Buenos Aires, e uno di quest’anno, la “Lettera ai sacerdoti della diocesi di Roma”: l’invito “a restare vigilanti e lottare, con la forza della preghiera, contro ogni cedimento alla mondanità spirituale”. Di seguito il testo integrale della prefazione firmata dal Papa:
La fede cristiana è una lotta, una battaglia interiore per vincere la tentazione della chiusura nel nostro io e lasciarci abitare dall’amore di un Padre che desidera la nostra felicità. È una lotta bella perché, quando lasciamo vincere il Signore, il nostro cuore esulta di pienezza e la nostra esistenza viene illuminata da un raggio di infinito.
La lotta per cui combattiamo come seguaci di Gesù è anzitutto contro la mondanità spirituale, che è un paganesimo travestito con vesti ecclesiastiche. Per quanto camuffato da una parvenza di sacro, è un atteggiamento che finisce con l’essere idolatrico, perché non riconosce la presenza di Dio come Signore e liberatore della nostra vita e della storia del mondo. Mentre ci lascia in balia del nostro capriccio e delle nostre voglie.
Dunque, dobbiamo combattere. Ma la nostra non è una lotta vana né senza speranza, perché tale combattimento ha già un vincitore: Gesù, colui che ha sconfitto nella sua morte la forza del peccato. E con la sua resurrezione ci ha dato la possibilità di diventare persone nuove.
Certo, la vittoria di Gesù ha un nome, la croce, che di primo acchito ci crea ripulsa e ci allontana. Ma essa è il segno di un amore sconfinato, umile e tenace. Gesù ci ha amato fino ad una morte così ignominiosa come quella della croce perché non potessimo più dubitare che le sue braccia restino aperte anche per l’ultimo dei peccatori. E questo amore eterno interpella e orienta le vie del cristiano e della Chiesa stessa. La croce di Gesù diventa il criterio di ogni scelta di fede.
Il beato Pierre Claverie, vescovo di Orano, in una sua omelia affermava questo con parole molto belle, che voglio qui riportare: «Io credo che la Chiesa muore se non sta sufficientemente vicina alla croce del suo Signore. Per quanto possa sembrare paradossale, la forza, la vitalità, la speranza, la fecondità cristiana, la fecondità della Chiesa vengono da lì. Non da altrove. Tutto il resto non è che fumo negli occhi, illusione mondana. La Chiesa si inganna e inganna il mondo, quando si pone come una potenza fra le potenze, o come un’organizzazione, foss’anche umanitaria, o come un movimento evangelico capace di dare spettacolo. Può anche brillare, ma non può bruciare del fuoco dell’amore di Dio, “forte come la morte” – dice il Cantico dei Cantici».
Proprio per questo motivo ho voluto raccogliere in questo volumetto due testi pubblicati in tempi diversi: uno, scritto nel 1991, poi ripubblicato nel 2005 quando ero arcivescovo di Buenos Aires, dedicato alla corruzione e al peccato; l’altro, una Lettera ai sacerdoti di Roma. Cosa li unisce? La preoccupazione, che sento come una chiamata forte di Dio a tutta la Chiesa, a restare vigilanti e lottare, con la forza della preghiera, contro ogni cedimento alla mondanità spirituale.
Questa lotta ha un nome: si chiama santità. La santità non è uno stato di beatitudine raggiunto una volta per sempre, è invece l’incessante, instancabile desiderio di restare attaccati alla croce di Gesù, lasciandoci plasmare dalla logica che viene dal dono di sé e dal resistere a chi, il nemico, ci lusinga instillandoci la convinzione della nostra autosufficienza. Ci farà bene invece ricordare ciò che ci ha detto Gesù: «Senza di me non potete far nulla» (Gv 15, 5). Santità è dunque il restare aperti al “di più” che Dio ci chiede e che si manifesta nell’adesione alla nostra vita quotidiana. Il padre Alfred Delp scriveva: «Dio ci abbraccia con la realtà». Ecco, è il nostro quotidiano il luogo in cui lasciar spazio al Signore che ci salva dalla nostra autosufficienza, e che ci chiede quel magis di cui parla Sant’Ignazio di Loyola: quel “di più” che ci spinge verso una felicità non effimera ma piena e serena.
Offro al lettore questi testi come occasione di riflessione sulla propria vita e su quella della Chiesa nella convinzione che Dio ci chiede di essere aperti alle Sue novità, ci chiede di essere inquieti e mai appagati, in ricerca e mai installati in accomodanti opacità, non arroccati in false sicurezze bensì in cammino sulla via della santità.