Un progetto che vuole promuovere una medicina centrata sulla persona, che mira a cambiare il paradigma di cura coinvolgendo medici e infermieri, sensibilizzando la mentalità e la volontà dei cittadini, affinché al primo posto ci sia la dignità dell’essere umano. Questo è “Dignitas Curae – Manifesto per la sanità del futuro”, ideato dalla Fondazione Dignitas Curae ETS e presentato alla stampa questa mattina a Roma, a Palazzo Montecitorio, che, tra l’altro, si pone come obiettivo la riduzione delle liste di attesa per prestazioni ed esami e di limitare gli spostamenti fra strutture ospedaliere. Il documento è stato illustrato dal professor Massimo Massetti, responsabile dell’Area cardiovascolare e cardiochirurgica del Policlinico universitario “Agostino Gemelli” e presidente della Fondazione Dignitas Curae. Ad approfondirne i contenuti si sono susseguiti diversi interventi, fra i quali quello del ministro della Salute italiano Orazio Schillaci, che ha rilevato quanto importante sia salvaguardare la sostenibilità della sanità.
Un gruppo di lavoro per applicare “Dignitas Curae” in Italia
Per fortificare il Servizio sanitario nazionale non basta incrementare il finanziamento se non si riorganizza l’offerta sanitaria, ha detto il ministro Schillaci, occorre rendere l’assetto ospedaliero “resiliente e flessibile e quindi capace di rispondere ai nuovi driver epidemiologici e demografici”, per questo occorre rafforzare la “medicina territoriale, in un rapporto complementare all’ospedale. Senza dimenticare l’integrazione con i servizi sociali”. Non ci si deve limitare, quindi, “a curare l’evento patologico”, ha aggiunto Schillaci, ma è necessario prendersi “cura del paziente nella sua totalità. Si tratta di riorganizzare una sanità che deve essere centrata sul malato e non sulle malattie o sulle singole prestazioni sanitarie”. È il modello di cura promosso da Dignitas Curae, relativamente al quale il ministro intende “istituire un gruppo di lavoro” per valutarne l’applicazione. Schillaci ha rimarcato, inoltre, che bisogna tornare a guardare al paziente come ad una persona con il suo vissuto e che per questo è necessario il “contributo di tutti gli attori coinvolti nella rifondazione del sistema sanitario, nel rispetto delle differenze dei compiti e dei ruoli”.
Curare il bene integrale della vita
Il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, invitato a tenere le conclusioni, ha sottolineato che la dignità della cura e il compito di curare sono centrati sulla dignità della persona, e ha aggiunto che “riconoscere e rispettare la persona è prima di tutto prendersi cura” e che “curare è indice di umanità e di promozione umana”. Ma è pure qualcosa da intendere “in senso integrale: non solo fisico ma altresì emotivo, spirituale, sociale, ambientale” ha specificato il porporato. La cura, tra l’altro, “non è data dalla somma delle prestazioni ma dalla presa in carico del paziente, in una relazione empatica di alleanza terapeutica” ed è inoltre “un diritto da riconoscere a tutti” ha proseguito Parolin, che ha richiamato la Lettera “Samaritanus bonus” della Congregazione per la Dottrina della Fede sulla cura delle persone nelle fasi critiche e terminali della vita, dove si evidenzia che se “la Chiesa guarda con speranza alla ricerca scientifica e tecnologica”, come “opportunità di servizio al bene integrale della vita e della dignità di ogni essere umano”, in realtà “questi progressi della tecnologia medica, benché preziosi, non sono di per sé determinanti per qualificare il senso proprio ed il valore della vita umana”, perché serve anche “una crescente e sapiente capacità di discernimento morale, per evitare un utilizzo sproporzionato e disumanizzante delle tecnologie”. Il porporato ha, infine, ricordato, come scrive Papa Francesco nell’enciclica Laudate Deum, che “non ci sono cambiamenti duraturi senza cambiamenti culturali e non ci sono cambiamenti culturali senza cambiamenti nelle persone”, e ha affermato che il Manifesto Dignitas Curae è da apprezzare particolarmente proprio per “la sua incidenza prioritaria sul pensiero”.