“Continuate a camminare”. “Fare Chiesa insieme”. “Essere una Chiesa aperta”. E infine “essere una Chiesa ‘inquieta’ nelle inquietudini del nostro tempo”. Sono queste le “consegne” che papa Francesco ha donato ai partecipanti all’Incontro Nazionale dei Referenti diocesani del Cammino Sinodale Italiano ricevuti in udienza stamani nell’Aula Paolo VI.
Con un discorso in cui ha elogiato la “bella esperienza di ascolto dello Spirito” in atto, pur evidenziando “l’impressione” che comunità, curie e parrocchie siano “ancora troppo autoreferenziali”, vittime di una sorta di “neoclericalismo di difesa”. E in cui ha ribadito che il protagonista del percorso sinodale è sempre lo Spirito Santo, che a volte provoca “disordine” ma poi ricompone tutto creando “l’armonia”.
All’inizio del suo intervento il Pontefice ha sottolineato che l’udienza “si colloca nel vivo di un processo di Sinodo che sta interessando tutta la Chiesa e, in essa, le Chiese locali, nelle quali i Cantieri sinodali si sono costituiti come una bella esperienza di ascolto dello Spirito e di confronto tra le diverse voci delle comunità cristiane”.
Di qui l’esortazione a “proseguire con coraggio e determinazione su questa strada, anzitutto valorizzando il potenziale presente nelle parrocchie e nelle varie comunità cristiane”. Esortazione accompagnata da “alcune consegne”.
Prima consegna: “Continuate a camminare, lasciandovi guidare dallo Spirito”, sulla scia del Convegno ecclesiale di Firenze, servendo il Vangelo “in stile di gratuità e di cura, coltivando la libertà e la creatività proprie di chi testimonia la lieta notizia dell’amore di Dio rimanendo radicato in ciò che è essenziale”. Perché una Chiesa “appesantita dalle strutture, dalla burocrazia, dal formalismo faticherà a camminare nella storia, al passo dello Spirito, incontro agli uomini e alle donne del nostro tempo”.
Seconda consegna: fare Chiesa insieme, sulle orme del Concilio Vaticano II. Perché “ogni battezzato è chiamato a partecipare attivamente alla vita e alla missione della Chiesa, a partire dallo specifico della propria vocazione, in relazione con le altre e con gli altri carismi, donati dallo Spirito per il bene di tutti”. Infatti c’è bisogno di comunità cristiane “dove tutti possano sentirsi a casa, dove le strutture e i mezzi pastorali favoriscano non la creazione di piccoli gruppi, ma la gioia di essere e sentirsi corresponsabili”.
Terza consegna: essere una Chiesa aperta. Infatti riscoprirsi “corresponsabili” nella Chiesa “non equivale a mettere in atto logiche mondane di distribuzione dei poteri”, ma “significa coltivare il desiderio di riconoscere l’altro nella ricchezza dei suoi carismi e della sua singolarità”. In questa prospettiva “possono trovare posto quanti ancora faticano a vedere riconosciuta la loro presenza nella Chiesa, quanti non hanno voce, coloro le cui voci sono coperte se non zittite o ignorate, coloro che si sentono inadeguati, magari perché hanno percorsi di vita difficili o complessi”. “Dovremmo domandarci – è la richiesta di Francesco – quanto facciamo spazio e quanto ascoltiamo realmente nelle nostre comunità le voci dei giovani, delle donne, dei poveri, di coloro che sono delusi, di chi nella vita è stato ferito”. Perché, avverte il Papa, fino a quando la loro presenza “resterà una nota sporadica nel complesso della vita ecclesiale”, la Chiesa “non sarà sinodale”, ma “sarà una Chiesa di pochi”.
A questo punto il Pontefice annota che “volte si ha l’impressione che le comunità religiose, le curie, le parrocchie siano ancora troppo autoreferenziali”. “Sembra – soggiunge – che si insinui, un po’ nascostamente, una sorta di ‘neoclericalismo di difesa’, generato da un atteggiamento timoroso, dalla lamentela per un mondo che non ci capisce più, dal bisogno di ribadire e far sentire la propria influenza”. Francesco specifica, a braccio, che il clericalismo dei preti e dei vescovi è “perversione”, e quello dei laici o delle laiche è “dieci volte tanto”, è “terribile”. Ma il Sinodo, esorta Francesco, “ci chiama a diventare una Chiesa che cammina con gioia, con umiltà e con creatività dentro questo nostro tempo, nella consapevolezza che siamo tutti vulnerabili e abbiamo bisogno gli uni degli altri”. E a questo proposito cita una frase di don Primo Mazzolari: “Che contrasto quando la nostra vita spegne la vita delle anime! Preti che sono soffocatori di vita. Invece di accendere l’eternità, spegniamo la vita”.
“Siamo inviati – è il commento del Papa – non per spegnere, ma per accendere i cuori dei nostri fratelli e sorelle, e per lasciarci rischiarare a nostra volta dai bagliori delle loro coscienze che cercano la verità”. Prendendo spunto dalla domanda del cappellano di un carcere italiano, che gli chiedeva come far sì che l’esperienza sinodale vissuta in una casa circondariale possa poi trovare un seguito di accoglienza nelle comunità, papa Francesco ha aggiunto un’ultima consegna: essere una Chiesa “inquieta” nelle inquietudini del nostro tempo.
“Siamo chiamati – spiega il Pontefice – a raccogliere le inquietudini della storia e a lasciarcene interrogare, a portarle davanti a Dio, a immergerle nella Pasqua di Cristo”. E “formare dei gruppi sinodali nelle carceri vuol dire mettersi in ascolto di un’umanità ferita, ma, nel contempo, bisognosa di redenzione”. Così la comunità cristiana “è provocata a uscire dai pregiudizi, a mettersi in ricerca di coloro che provengono da anni di detenzione, per incontrarli, per ascoltare la loro testimonianza, e spezzare con loro il pane della Parola di Dio”. E “questo è un esempio di inquietudine buona”, “esperienze di una Chiesa che accoglie le sfide del nostro tempo, che sa uscire verso tutti per annunciare la gioia del Vangelo”.
Infine Francesco ribadisce che è lo Spirito Santo “il protagonista del processo sinodale: è Lui che apre i singoli e le comunità all’ascolto; è Lui che rende autentico e fecondo il dialogo; è Lui che illumina il discernimento; è Lui che orienta le scelte e le decisioni. È Lui soprattutto che crea l’armonia, la comunione nella Chiesa”.
E conclude a braccio osservando che se a volte nel processo sinodale si nota un certo disordine bisogna ricordare la mattina di Pentecoste, quando c’era un “disordine totale” provocato dallo Spirito Santo. Ma poi fu lo stesso Spirito Santo a creare “l’armonia”.
Gianni Cardinale, Avvenire